“Devo a Jafar Panahi uno sviluppo rivoluzionario per quanto riguarda il mio rapporto con il resto del mondo: Mi sono iscritto per la prima volta ai social media, per poter seguire ciò che accade in Iran.  Instagram in questo senso fa parte della rivoluzione in Iran – come della guerra di Ukraina. Vivendo a Berlino, ho visto per la prima volta un film di Panahi al festival di Berlino. Il famoso « Taxi a Teheran ».

Le proteste e gli arresti di massa in Iran la dicono lunga sui disordini sociali e politici del Paese. Ma sono gli artisti del Paese a darci uno sguardo sulla vita quotidiana degli iraniani. 

E questi artisti pagano sempre un prezzo. 

Il regista Jafar Panahi ha recentemente iniziato uno sciopero della fame fino a quando le autorità non lo hanno rilasciato su cauzione dalla prigione in cui era detenuto con l’accusa di, cito : “propaganda contro il governo”.

A Panahi fu vietato lasciare il Paese, girare film e rilasciare interviste ai media.  A volte gli è persino vietato di uscire di casa.
Riesce comunque a fare film.  Ad esempio, il suo film del 2011, “This Is Not A Film”, è stato girato mentre era agli arresti domiciliari.

Il suo ultimo film, “No Bears”, parla di amore, superstizione e paura. E, come tutti i suoi film, sovrappone il personale al politico. 

In questo scambio, il suo regista per procura ha attraversato il confine dalla Turchia all’Iran.

Si puo vedere in lui l’incarnazione dello spirito creativo. Nonostante gli arresti domiciliari, ha continuato a fare film.

È diventato un personaggio nelle sue stesse opere. In “Taxi” è un tassista e il film è il suo rapporto con le persone che porta in giro.

Ultimamente è uscito di prigione, ma il mondo esterno è solo una prigione più grande. 

È quello che abbiamo visto questa mattina nel film « Leila e i suoi fratelli »: come le pressioni economiche del Paese creano un disastro all’interno di una famiglia che lotta per tirare avanti, ricorrendo a ogni sorta di schema, nonostante il proprio senso morale.

Trasformano gli amici più cari nei peggiori nemici.

È difficile mantenere la propria dignità umana vivendo in circostanze di povertà – eppure la dignità è l’unica cosa che ti rimane.

Quello che fa Panahi è molto interessante, in quanto si muove sulla linea tra il lungometraggio e il documentario. Penso che stia dando una visione del paese molto dettagliata in termini di ciò che mostra su come interagiscono uomini e donne. Come interagiscono le persone di città e quelle di campagna.

Il suo modo sociobiologico di guardare alla società si avvicina a quello di Roberto Rossellini.

Ha imparato come assistente dal migliore: Abbas Kiarostami

Nella sua seconda pellicola, « Offside », utilizza i tentativi frustrati di una adolescente di assistere a una partita di qualificazione della Coppa del Mondo tra Iran e Bahrein per montare una critica appassionata delle leggi altamente discriminatorie che riguardano lo status delle donne nella Repubblica islamica. 

(Alle donne è vietato per legge persino l’ingresso allo stadio)

« Il cerchio » (2000)  di Panahi, allo stesso modo denuncia l’ingiusto trattamento delle donne, ma in modo formalmente più ambizioso, con la narrazione che passa da un personaggio all’altro mentre procede da un reparto maternità a una stazione di polizia.

Egli si interroga non solo sulla politica ma anche sui costumi della terra, nella misura in cui le tradizioni possono essere un rifugio e un aiuto, ma allo stesso tempo condannano i suoi personaggi, in campagna come in città.

Rilasciato dal carcere dopo un sciopero della fame e proteste internazionali Jafar Panahi ha ribadito le sue precedenti richieste: 
la fine delle esecuzioni dei manifestanti, della politica del governo sul velo per le donne e il rilascio dei prigionieri politici.

Io ringrazio personalmente Bari e Felice Laudadio di darmi l’occasione di onorare un collega così bravo”

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