Tributo del Bif&st 2023 al cinema iraniano, con proiezioni e la consegna stasera, seppure virtualmente, del Federico Fellini Platinum Award a Jafar Panahi da parte del regista Premio Oscar Volker Schlöndorff.

Il tributo che il Bif&st 2023 ha voluto riservare al cinema iraniano si era aperto ieri pomeriggio al Teatro Piccinni con una affollatissima proiezione di “Il cerchio” (2000) di Jafer Panahi. Il momento più significativo è stato però stamattina al Teatro Petruzzelli, iniziata con la proiezione di “Leila e i suoi fratelli” (2022) di Saeed Roustaee, Premio Fipresci all’ultimo Festival di Cannes.

Il regista avrebbe dovuto essere a Bari ma, come ha spiegato il Direttore Felice Laudadio al termine della proiezione del film: «Non ha avuto il permesso di uscire dal paese. Era già stato imprigionato tempo fa ma, essendo molto popolare e a seguito degli appelli da parte di tanti cineasti e intellettuali di tutto il mondo, è stato poi liberato ma privato del passaporto».

«Senza passaporto è anche Jafar Panahi che era stato anche lui invitato al Festival per ritirare il Federico Fellini Platinum Award a lui conferito quest’anno e che stasera qui al Petruzzelli gli verrà consegnato ‘virtualmente’ da Volker Schlöndorff. Gli avevamo anche chiesto se fosse stato possibile averlo in un collegamento video, tramite whatsapp, Skype o altro ma lui mi ha risposto: “Non posso, voi capirete perché”. Penso che questo dica tutto».

«Il tributo del Bif&st è comunque non solo a Panahi ma al cinema iraniano tutto che in molti, tra noi critici, consideriamo il più importante del mondo, l’unico che si rifà esplicitamente al neorealismo italiano. E, a questo proposito, voglio segnalare che, nei giorni scorsi, il Sindaco di un Comune veneto ha negato il patrocinio ad una proiezione di Roma città aperta organizzata dall’ANPI. La nostra risposta è quella di proiettare qui a Bari il capolavoro di Rossellini fuori programma al Kursaal nei prossimi giorni. Perché il Bif&st non è solo un programma di film, un luogo di incontri tra i cineasti e il pubblico e un’opportunità di sviluppo per la città ma è anche il Festival dei Diritti».

Il Direttore ha quindi chiamato sul palco Hassan Nazer, il regista di Winners che verrà presentato questo pomeriggio nell’ambito del Panorama Internazionale del Bif&st.

Intervistato da David Grieco, Nazer ha raccontato: «Sono uscito dall’Iran nel 2000 e mi sono trasferito in Inghilterra per dedicarmi alla mia creatività. I cineasti in Iran sono una delle categorie più vulnerabili perché fanno cultura e la cultura, nel mio Paese, è sottoposta a restrizioni. Io sento oggi la responsabilità di essere una voce per i miei colleghi connazionali. Lo stesso mio ultimo film è un tributo al cinema italiano e ai suoi grandi registi».

“C’è da sperare su un cambio di regime?”, gli ha chiesto Grieco. «L’unica cosa effettivamente è sperare. Non posso nemmeno provare a indovinare cosa accadrà perché ci sono troppe situazioni complesse in Iran, io non riesco neppure a stare appresso a tutto quello che accade. Quello che so è che il nostro movimento è in pericolo, la nostra stessa vita è in pericolo. Ogni volta che entro in Iran, da quando tempo fa mi è stato dato il permesso di entrare, avverto una sensazione di paura. Non resta che ciascuno faccia la sua parte, dai cineasti agli studenti».

Sanaz Sohani, mediatrice culturale, intervenuta come rappresentante della comunità iraniana in Puglia ha ricordato come nel film appena proiettato si vede quanto sia importante il ruolo della donna all’interno della famiglia. «Pensate, quindi, quanto possa esserlo nella società!».

Anche Volker Schlöndorff, Presidente del Bif&st, ha commentato il film di Saeed Roustaee: «Racconta molto bene la drammatica situazione economica in Iran che è, ovviamente, l’effetto di una situazione politica. Ed è anche molto bello come parli di tradizione, di solidarietà, di conflitti, di temi universali».

Salito sul palco per esprimere anche lui la solidarietà con i cineasti iraniani, Marco Bellocchio ha osservato come «Noi registi italiani e più in generale europei siamo dei privilegiati. Subiamo anche noi condizionamenti nel nostro lavoro ma non certo ai livelli cui sono costretti i cineasti iraniani di cui ammiro il coraggio di proseguire a lavorare in condizioni così difficili. Io penso che quello che possiamo fare noi è prendere ad esempio il loro coraggio e fare per bene il nostro lavoro».

Sul palco anche Maya Sansa, figlia di un iraniano che si è trasferito in Italia. «Per anni ho chiesto a mio padre di portarmi a visitare il suo Paese ma lui per molto tempo non ha voluto, soprattutto dopo che ho iniziato a fare l’attrice. Era per proteggermi, aveva paura. Finalmente a 27 anni sono riuscita ad andare a conoscere la mia famiglia d’origine e ho scoperto un paese meraviglioso, dove le persone sono colte e libere quando sono tra le mura delle loro case. Io credo che si debba continuare a sostenere le proteste in atto in Iran soprattutto utilizzando i social, gli hashtag, citando i nomi e le parole chiave più popolari finché i Guardiani della Rivoluzione non verranno finalmente riconosciuti come terroristi».

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