Lo scenografo Francesco Frigeri, lo sceneggiatore Maurizio Braucci e i registi Christine Molloy e Joe Lawlor sono stati i protagonisti della terza serata del Bif&st 2020, martedì 24 agosto, nell’Arena di Piazza della Prefettura.

Francesco Frigeri ha ricevuto il premio Dante Ferretti per la migliore scenografia di “Il primo Natale” di Salvatore Ficarra e Valentino Picone.

Intervistato da Marco Spagnoli, lo scenografo ha osservato come il suo lavoro nel film lo abbia riportato a quella che fu la sua prima esperienza da titolare dopo essere stato, a lungo, assistente di Mario Chiari: “Non ci resta che piangere” di Massimo Troisi e Roberto Benigni. “Questo premio lo voglio dedicare proprio a Massimo Troisi. Con lui e Benigni ho iniziato il mio percorso professionale, avendo l’occasione unica di realizzare scenografie vere grazie ad un budget importante. Fu una grande palestra che altri miei colleghi non hanno potuto frequentare.”

Fu anche l’inizio di una carriera prestigiosa che lo avrebbe visto lavorare, tra gli altri, con Mauro Bolognini, Giuseppe Tornatore, Liliana Cavani, Paolo Virzì, Giuliano Montaldo, Michael Radford. E con Mel Gibson, per il quale realizzò le scenografie di “La passione di Cristo”. A Cinecittà, ha osservato Marco Spagnoli, ci sono ancora in mostra i cosiddetti “ulivi di Frigeri”… “Sì, accadde che avevamo individuato l’uliveto giusto per il film durante i sopralluoghi ma che un mese di pioggia ininterrotta aveva reso inutilizzabile la location. Allora la produzione mi chiese di ricostruire l’uliveto in un teatro di posa dandomi solo 15 giorni di tempo e a me venne in mente di realizzare, oltre ad alcuni ulivi secolari, anche altri ulivi in resina dotati di rotelle in modo tale da poterli spostare durante le riprese della camminata di Gesù, dando l’impressione  di un uliveto molto più lungo di quanto non fosse”.

Sulla sua esperienza con Ficarra e Picone, lo scenografo ha ammesso di essere rimasto stupito dalla bravura registica dei due comici: “Conoscono bene la tecnica ed hanno anche la qualità di essere delle brave persone con cui è molto piacevole lavorare”.

Conoscono molto bene anche la migliore commedia all’italiana e non hanno nessuna paura di fare citazioni perché i grandi attori comici  sono il loro punto di riferimento” ha aggiunto il loro produttore Attilio De Razza prima di consegnare lui stesso il premio a Francesco Frigeri.

È stato il critico Fabio Ferzetti, invece, ad accogliere sul palco il secondo premiato della serata, Maurizio Braucci, cui è stato consegnato il premio Luciano Vincenzoni  per la sceneggiatura di “Martin Eden” di Pietro Marcello. Che lo considera, come gli ha confessato apprendendo del premio: “Uno scrittore prestato al cinema”.

Non c’è dubbio che il rapporto con la letteratura sia molto importante nel mio lavoro di sceneggiatore. Nel caso di Martin Eden ho lasciato che il libro stesso mi guidasse  e che il personaggio mi parlasse. Io credo molto nella scrittura, perché è imparentata con le idee. Quando a Pasolini, poco prima di morire, gli chiesero perché stava adattando un romanzo del marchese de Sade lui rispose semplicemente: “Le idee… chissà come vengono le idee…”. La scrittura parte quindi da idee misteriose. E se tu sei in grado di “ascoltare” un libro come Martin Eden, puoi trovare le idee che Jack London ha saputo cogliere e sviluppare fino a prevedere tutto quello che sarebbe poi successo nel corso del ‘900”.

Stimolato da Fabio Ferzetti a parlare del suo imminente debutto da regista, Braucci: “Si tratta di un film che o lo faccio io o non lo fa nessuno. Tratta del diritto all’amore dei disabili, un tema su cui in Italia siamo molto indietro rispetto ad altri paesi.”

A concludere la serata, un breve incontro con i registi Christine Molloy e Joe Lawlor, autori del film poi proiettato in anteprima internazionale, “Rose Plays Julie”.

Accolti da Enrico Magrelli, i due registi hanno raccontato la genesi del film “a partire da due immagini” ha spiegato Joe Lawlor “quella di una persona che si guarda allo specchio e quella della sua immagine riflessa nella quale non si riconosce, dovendo così intraprendere un percorso di ricerca per capire chi è veramente. Da qui siamo partiti per creare la storia di una persona disgregata che alla fine troverà una stabilità”.

Christine Molloy: “Io spero che il pubblico, dopo aver visto il film, arrivi ad una conclusione personale. Da parte nostra abbiamo voluto evocare una atmosfera da tragedia greca, con personaggi che fossero archetipi di tutte le storie e che dunque possiedano un carattere universale e simbolico.”

 

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