Nella serata del 29 aprile, al Teatro Petruzzelli, il regista Claudio Giovannesi ha ricevuto il Premio Luciano Vincenzoni del Bif&st 2019 per la Migliore Sceneggiatura con il film “La paranza dei bambini”, condiviso con Maurizio Braucci e Roberto Saviano (anche autore dell’omonimo romanzo). Poche ora prima, al Teatro Margherita, è stato ospite di un Focus moderato dal critico Franco Montini durante il quale ha ricostruito la genesi di una sceneggiatura già premiata al Festival di Berlino.

Un lavoro difficile, più del solito, perché quando il produttore mi ha chiamato per dirigere il film, la mia prima preoccupazione era quella di non replicare i modelli già esplorati con Gomorra, sia il film che la serie della quale peraltro avevo diretto due episodi. E allora, insieme a Saviano e Braucci, abbiamo condiviso l’idea di non raccontare la lotta per il potere, come nel romanzo, ma di rappresentare piuttosto i sentimenti dei ragazzi, che sono adolescenti come tanti altri, come i nostri figli. Il film, per come lo abbiamo concepito, parla della perdita dell’innocenza, non è un film su Napoli o sulla cronaca giudiziaria ma vuole affrontare un discorso universale. Raccontare l’adolescenza voleva dire per noi, raccontare il futuro, raccontare un’età nella quale non c’è ancora da compiere una scelta tra il bene e il male, c’è solo l’innocenza”.

“La paranza dei bambini”, ha osservato Montini, non da giudizi ma offre uno sguardo partecipe. Giovannesi è d’accordo: “Io, da regista, scelgo un punto di vista che è generalmente quello del protagonista e quindi mi metto accanto a lui, lo seguo anche fisicamente con la macchina da presa. Come negli altri miei film, ho cercato l’empatia sperando che anche il pubblico la percepisca”.

Un approccio di sensibilità, quello di Claudio Giovannesi, che esclude la rappresentazione della violenza fine a se stessa: “Sì, non c’è alcun compiacimento della violenza, che è proprio del cinema di genere e che, se spettacolarizzata, può risultare anche divertente, come nei film di Tarantino. Ma noi non volevamo fare i furbi ma immedesimarci in una visione della realtà che è fatta soprattutto di gioco anche quando è reale. Penso alla fascinazione che gli adolescenti a Napoli possono subire dalle armi: è una fascinazione vissuta con assoluta innocenza”.

Nel film, gli adulti sono praticamente assenti. Ciò vuol dire che questi ragazzi sono abbandonati a loro stessi? “Anche in questo caso, c’è stata una scelta ben precisa, abbiamo deciso di adottare quella che io chiamo l’estetica di Tom & Jerry, quei cartoni animati dove vedi il gatto e il topo e poi, dell’uomo, vedi solo le gambe. Una scelta finalizzata ad avere solo il punto di vista dei ragazzi. Ma certamente l’assenza degli adulti corrispondeva per noi anche all’assenza dello Stato, della scuola, di opportunità culturali e ricreative. Così, sempre perseguendo l’autenticità, non abbiamo fatto casting nelle scuole, considerata l’alta dispersione scolastica che persiste in alcune zone di Napoli, ma in quei luoghi frequentati dai ragazzi, dai bar ai vicoli alle piazze e muretti”.

Il protagonista di “La paranza dei bambini”, Francesco Di Napoli, lavorava effettivamente in un bar. “E per questo conosceva molto bene certi personaggi e certe situazioni, quindi era molto adatto. Ma, al contrario degli altri ragazzi che abbiamo impiegato nel film che non hanno manifestato alcuna intenzione di intraprendere la carriera cinematografica, lui ha un talento straordinario tale da farmi scommettere su un suo futuro d’attore. Dovrà sforzarsi però: nel nostro film doveva parlare sia in napoletano che in italiano e l’italiano non voleva proprio parlarlo, si vergognava. Dovevo affiancargli qualcuno che glielo insegnasse almeno un’ora al giorno”!

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