Vittorio Storaro: “Io, un eterno studente”
Preceduta dalla proiezione di “Il conformista” di Bernardo Bertolucci e poi da un filmato nel quale sono state mostrate sequenze di alcuni dei capolavori di cui ha curato la fotografia, si è svolta stamattina al Teatro Petruzzelli la Masterclass di Vittorio Storaro. Che stasera, sullo stesso palco, ritirerà il Federico Fellini Platinum Award del Bif&st 2018.
Ha avuto un inizio irrituale, la Masterclass di stamattina al Teatro Petruzzelli con Vittorio Storaro. Terminata la proiezione di “Il Conformista” di Bernardo Bertolucci e prima di rispondere alle domande del critico Fabio Ferzetti, è stato infatti proiettato un filmato di montaggio di alcune sequenze tratte da alcuni capolavori dei quali ha curato la fotografia, da “Il conformista”, appunto, a “Il Rigoletto a Mantova” di Marco Bellocchio passando per la sue collaborazioni con Francis Ford Coppola, Warren Beatty e Carlos Saura.
“Ho voluto mostrarvi questo filmato perché è diviso in capitoli che rappresentano altrettante tappe del mio percorso. Dopo ogni tappa mi sono sempre fermato a studiare per un certo periodo, per conoscere meglio il significato di quello che stavo facendo. Perché ho capito una cosa: in ogni progetto si torna studenti, c’è sempre qualcosa da imparare. Ancora adesso: sono un eterno studente”.
Sono state le prime battute di una lunga conversazione con colui che ama definirsi “autore della cinematografia” o “cinefotografo” (meglio ancora: “cinematographer”) rifiutando da molto tempo l’usuale appellativo di Direttore della Fotografia. “Direttore della Fotografia è un termine profondamente sbagliato perché in un film non ci possono essere due direttori, l’unico direttore è il regista, di cui ho sempre rispettato il ruolo primario nella realizzazione di un film”.
Prima di diventare autore della cinematografia, però, Storaro è stato per alcuni anni operatore di macchina: “La mia storia professionale somiglia un po’ a quella che racconta Tornatore in Nuovo Cinema Paradiso. Sono figlio di un proiezionista e sono cresciuto vedendo immagini in movimento fin da bambino. Io credo che a mio padre sarebbe piaciuto fare cinema e che quindi abbia poggiato il suo sogno sulle mie spalle. Ho studiato dapprima fotografia, poi sono stato uno degli allievi più giovani del Centro Sperimentale di Cinematografia e ho debuttato a soli 21 anni come operatore. Ho rifiutato di occuparmi della fotografia finché non mi sono sentito pronto e ciò è accaduto all’età di 27 anni, quando Franco Rossi mi propose di fare Giovinezza, giovinezza. Che per fortuna era un film in bianco e nero perché il colore al Centro Sperimentale, ai tempi dei miei studi, veniva ignorato, si pensava che non consentisse di lavorare con le ombre. Ho scoperto il contrasto tra luce e ombra nel colore solo quando, casualmente, mi imbattei in una chiesa in un quadro di Caravaggio”.
Decisivo, per la sua carriera, l’incontro con Bernardo Bertolucci. “Dopo alcuni film con Franco Rossi ci fu una crisi della produzione cinematografica in Italia e smettemmo entrambi di fare cinema. Io rifiutai le proposte di lavorare come cameraman in televisione e mi chiusi in casa a studiare, anche perché mi ero accorto che non mi avevano mai insegnato arte, letteratura, pittura, musica, tutte le componenti fondamentali del cinema. Finché un amico non mi convinse a ricominciare da assistente operatore. Mi presentò un giovanissimo regista, Bernardo Bertolucci, che stava preparando il suo secondo film, Prima della rivoluzione. Dopodiché tornai a fare l’operatore fino al giorno in cui Bertolucci mi richiamò, proponendomi stavolta di curare la fotografia di un piccolo film per la televisione, La strategia del ragno. Mi mostrò un libro con le riproduzioni dei quadri di Magritte e scoprii così un senso della prospettiva che prima mi era sconosciuto e che applicai al film, mentre per il colore mi rifeci all’arte primitiva. Il film successivo fu Il conformista”.
Fabio Ferzetti ha ricordato come la visione del film di Bertolucci avesse cambiato la vita di un grande fotografo, John Bailey: “Ha cambiato anche la mia, per la verità. Dopo quel film le persone mi vedevano in un modo diverso. Francis Ford Coppola mi disse di averlo talmente amato da volermi per la fotografia di Apocalypse Now, che è il film che ha lanciato la mia carriera internazionale e mi ha dato il primo Oscar.” Altri due Oscar, Storaro li avrebbe vinti con Reds e L’ultimo imperatore.”
Sul set di “Apocalypse Now”, Storaro tornava a lavorare con Marlon Brando, dopo l’esperienza (straordinaria, come ha raccontato) di “Ultimo tango a Parigi”. “Un genio assoluto. Quando arrivò nelle Filippine, la lavorazione di Apocalypse Now era circa a due terzi, con Coppola cercavano insieme di capire come fare entrare in scena il suo personaggio che fino a quel momento era stato solo citato. Non volevano un’apparizione normale e ne discussero per due giorni senza venirne a capo. Al terzo giorno io ebbi un’idea e la provai prima con Martin Sheen e la controfigura di Brando. Si trattava di un raggio di luce dal quale Brando sarebbe potuto entrare e uscire come desiderava. Cosa che lui fece meravigliosamente.”
Parlando dei registi con i quali ha lavorato, Storaro ha sottolineato come Bernardo Bertolucci e Carlos Saura sono stati gli unici a curare direttamente anche i movimenti di macchina. “Con gli altri registi, normalmente c’è più partecipazione, loro mi spiegano un concetto, io formulo una mia proposta e poi il regista prende la decisione finale. Loro no, loro scrivono con la macchina da presa, hanno un vero senso del cinema, Bertolucci ci è arrivato dalla poesia, Saura dalla fotografia. Tanto loro scrivono con la macchina da presa, quanto io scrivo con la luce”.
L’ultimo dei grandi registi con i quali ha collaborato Storaro è stato Woody Allen. “Mi ha chiamato nel 2015 dopo che avevo girato un film in Iran, il primo dopo cinque anni di pausa. Quando lo dissi a Coppola lui mi incoraggiò spiegandomi che lo considera il più grande regista americano contemporaneo. Così abbiamo fatto Café Society, poi La ruota delle meraviglie e infine A Rainy Day in New York, il suo ultimo film che è ancora in post-produzione e del quale, come da contratto, non posso fornire alcuna anticipazione. Allen è un regista che ha un grandissimo senso del ritmo, lo si scopre già nei dialoghi delle sue sceneggiature. Insieme a lui abbiamo affrontato il passaggio dalla pellicola al digitale, che è inevitabile dal momento che hanno chiuso praticamente tutti i laboratori di sviluppo e stampa. E poi perché il progresso non si può mica fermare!”
Vittorio Storaro riceverà stasera al Teatro Petruzzelli il Federico Fellini Platinum Award.