È morto venerdì 10 febbraio a 91 anni, a Madrid, il grande regista spagnolo Carlos Saura al quale il 26 settembre 2021 il Bif&st conferì il “Federico Fellini Platinum Award for Cinematic Excellence” al Teatro Petruzzelli dove al mattino aveva tenuto una memorabile masterclass insieme all’autore della fotografia di tanti suoi film, Vittorio Storaro. E dove il giorno prima aveva presentato in anteprima assoluta l’ultimo suo film di lungometraggio, El rey de todo el mundo. Oggi, sabato 11 febbraio, avrebbe dovuto ritirare a Siviglia il Goya d’onore alla carriera, dopo averne vinti altri per i suoi film, come a Cannes e Berlino, e dopo tre candidature all’Oscar.
«Una carriera lunga, sempre in equilibrio delicato tra il reale e il fantastico, il pugno e la carezza, il silenzio e la musica, che aveva saputo toccare molti tasti della cultura del suo Paese. Saura ha molto lottato contro la dittatura franchista, contro la censura ed era ammirato da Kubrick.
«Ha lavorato fino all’ultimo, con un Io, don Giovanni nel 2009, Flamenco flamenco nel 2010, un documentario su Renzo Piano del 2016 e appunto El rey de todo el mundo del 2021: “Sono stato fortunato nella vita, avendo avuto la possibilità di fare ciò che mi interessa di più, cinema, teatro, opera e pittura”. L’ultimo documentario era sulla evoluzione dell’arte murale, dalle grotte ai graffiti. Nato da una famiglia di artisti a Huesca, Spagna, nel 1932, trasferito a Madrid dopo la guerra civile, sposa per prima la passione per la fotografia da cui accede alla scuola di cinema.
«Il primo lungometraggio del ’59 è I monelli che, come I figli della violenza di Buñuel, è un ritratto dei ragazzi sbandati dei sobborghi di Madrid che sognano di essere toreri, sposando così le istanze del realismo con la camera a mano della nouvelle vague. Con La caccia del ’65 vince l’Orso d’argento a Berlino, parlando sottotraccia della violenza a vari strati del suo Paese, nell’ombra lunga dell’ingombrante fantasma della guerra civile.
«Frappè alla menta del ’67 è il titolo più immaginifico, pieno di ossessioni religiose e sessuali, fantasy alla spagnola: critico del reale ed esploratore dell’intimo, soprattutto femminile, sapeva alternare i due tasti, con un occhio di riguardo verso le metamorfosi della borghesia. Nella Tana del ‘69 lavora con Geraldine Chaplin che diventerà la sua compagna e nel ’74 la madre di uno dei sette figli del regista, oltre che sua attrice di riferimento: un’anatomia del rapporto coniugale scritto con Rafael Azcona, il grande sceneggiatore spagnolo autore di tante sceneggiature dei film di Marco Ferreri.
«Inevitabile lo scontro con la censura (Il giardino delle delizie del ’69), fino ad Anna e i lupi del ‘72, ancora un film sui poteri forti che hanno dominato il suo Paese dal dopoguerra a oggi. La cugina Angelica del ‘74 fa dire a Buñuel che avrebbe dato la vita per girare un film simile. Ma il suo successo fu Cria cuervos (Premio della giuria a Cannes), sul mondo dell’infanzia, da cui passa all’indagine della figura della donna (l’intimista Elisa, vita mia) mentre ne Gli occhi bendati affronta il tema della tortura. Con Mamà compie 100 anni torna alla tragicommedia della straniera Anna che rientra in Spagna dopo Franco e con In fretta in fretta sulla delinquenza giovanile vince l’Orso d’oro a Berlino. Con Bodas de sangre – Nozze di sangue, da García Lorca, inizia una lunga collaborazione artistica col ballerino coreografo Antonio Gades con cui condivide l’esaltazione passionale in Carmen story, da Bizet, e L’amore stregone in cui il flamenco diventa la radice d’una cultura, la sua libera espressione, il suo punto di arrivo e partenza, come se con la danza si potesse raccontare anche la storia.
«L’allegoria, l’ossessione, la musica sono il triangolo della sua poetica fortemente buñueliana, tanto che, dopo un periodo stanco, torna con Flamenco nel ‘95 e Tango del ‘98, oltre al biograph movie su Goya (1999), ricerca sulla luce e il movimento, mentre nel ‘92 è autore del documentario ufficiale del Giochi olimpici di Barcellona quasi a significare una esaltazione del corpo e tutto quello che col corpo si riesce ad esprimere» (Maurizio Porro, “Corriere della Sera”, 10.02.2023).

Al figlio Antonio, prestigioso produttore, e alla famiglia Saura venuta a Bari per accompagnare Carlos nel 2021 le più affettuose condoglianze di tutto lo staff del Bif&st e in particolare del suo direttore, per tanti anni amico del grande regista.

A su hijo Antonio, prestigioso productor, y a la familia Saura que ha venido a Bari para acompañar a Carlos en 2021, el más sentido pésame de todo el equipo de Bif&st y en especial de su director, amigo del gran director desde hace muchos años.

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