La più antica rivista di studi cinematografici e una delle pochissime sopravvissute. Ha alle sue spalle grandi direttori ma anche una serie di cambiamenti della linea editoriale che l’avevano portata, ad un certo punto, a essere una sorta di “concorsificio”, ovvero una vetrina per gli aspiranti cattedratici in cerca di accreditamento. Da alcuni anni Bianco e Nero è tornata ad essere più utile ed accessibile al pubblico degli appassionati di cinema, come dimostra anche il nuovo numero interamente dedicato a Mario Monicelli presentato ieri al Teatro Margherita dal direttore del Bif&st (anche Presidente del Centro Sperimentale di Cinematografia che edita la rivista) Felice Laudadio e dai critici Enrico Magrelli e Fabio Ferzetti.

Diviso per filoni, il numero si avvale di contributi da parte di alcuni dei più importanti critici e intellettuali italiani e delle testimonianze di attori, registi, produttori e collaboratori del grande regista scomparso dieci anni fa. Aperto da un intervento di Gian Piero Brunetta (“il più autorevole critico cinematografico vivente” ha osservato Laudadio)  conta, tra le altre, le firme dello storico Franco Cardini (“Villon, Dürer, Bergman, Buñuel: i mille padri di Brancaleone”), dello scrittore Giancarlo De Cataldo (“Il giustiziere Sordi nell’Italia e nel cinema degli anni ’70”), del giornalista Vittorio Emiliani (“I soliti ignoti, Il Marchese del Grillo e alcune differenze fra Monicelli e Fellini), del critico francese Jean Gili (“Monica Vitti, da icona a commediante”).

Una sezione della rivista

è dedicata al rapporto di Monicelli con la critica. “Alcuni anni fa” – ha ricordato il direttore Laudadio – “organizzai a Rimini una retrospettiva di film di Mario Monicelli e fui attaccato da alcuni critici che mi rimproveravano di rendere omaggio a un regista di cinema popolare dopo una edizione dedicata a Ingmar Bergman. Monicelli la prese con filosofia: “Un giorno si ricrederanno”. E così è accaduto.”

Enrico Magrelli ha evidenziato l’intervento di Fulvia Caprara sulla “persona” Monicelli, sulla sua intelligenza e senso dell’umorismo e quello di Alberto Crespi che ricorda il Monicelli “conduttore radiofonico” nella sua trasmissione “Hollywood Party”. Ma ha anche portato due testimonianze dirette: il lungo “braccio di ferro” tra Monicelli e il suo “erede” Paolo Virzì iniziata al cinema Farnese di Roma e proseguita in un ristorante e un viaggio in macchina verso Perugia in cui Monicelli manifestava la sua curiosità chiedendo a ciascuno dei presenti il proprio nome, l’origine del nome e provenienza.

Fabio Ferzetti ha definito Monicelli come un nomade, un picaro, un viaggiatore del cinema: quando tutti gli altri registi raccontavano le proprie radici, egli faceva film in luoghi sempre diversi, mettendosi costantemente in discussione. In quanto alla sua curiosità, era attratto anche dai film tanto diversi dai suoi (“Adorava Antonioni”, ha aggiunto Laudadio “ma diceva che non avrebbe potuto mai fare un film come lui”), aveva rispetto per i produttori e per il pubblico. A proposito di questi ultimi, Ferzetti ha ricordato come fosse rimasto molto male dall’accoglienza riservata a “Risate di gioia”, una ferita rimasta a lungo aperta.

Era un intellettuale sottile, coltissimo senza dimostrarlo, lettore attento dei giornali” – ha detto Felice Laudadio – “dotato di una coscienza civile che gli permetteva di partecipare a tante battaglie con posizioni molto nette”.

Alla sua sensibilità sociale e politica è legato uno dei film di cui Monicelli era particolarmente fiero, “I compagni”, sulla difesa del lavoro. Ma era anche molto orgoglioso di un film che non ebbe alcun successo, “Temporale Rosy” con Gerard Depardieu, una storia ambientata nel mondo del catch femminile.

Nel corso dell’incontro al Teatro Margherita, tante altre considerazioni sia sull’uomo che sul regista e un bel aneddoto finale raccontato da Felice Laudadio: “Nel 1987 ci trovavamo a Rimini sulla terrazza del Grand Hotel, c’era tutto il cinema italiano. Ad un certo punto mi diressi verso Lino Patruno, che allietava la serata con la sua jazz band, e gli chiesi se conosceva il tema di “La ragazza con la pistola”. Lui disse di sì. A quel punto convinsi con un inganno Monicelli a recarsi al tavolo di Monica Vitti, che si trovava dall’altra parte della terrazza, e invitarla a ballare. Lo fece e fu uno spettacolo rimasto indimenticabile per tutti i presenti”.

 

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